I lavoratori della cultura e dello spettacolo sono stanchi. Non stanchi fisicamente visto che non lavorano dall’inizio di marzo. Alcuni già dalla fine di febbraio a essere precisi.
Sono stanchi di non sapere cosa ne sarà del loro futuro professionale.
Si dice sempre ma, ormai, il ritornello che “i lavoratori della cultura e dello spettacolo” sono stati i primi a stopparsi a causa dell’emergenza Coronavirus e saranno gli ultimi a riprendere è una canzone che stona.
E ne sanno qualcosa anche gli operatori del mondo della musica che si sono riuniti in coordinamento.
I lavoratori della cultura e dello spettacolo sono stanchi e scendono in piazza.
In tutta Italia sabato 30 maggio si ritroveranno “distanti ma uniti” (come spesso si è detto in questi giorni di lockdown), per far sentire la propria voce. Lo faranno in diverse città della Penisola.

Ci sarà anche la Calabria che, attraverso il coordinamento Approdi. Lavoratrici e lavoratori della cultura e dello spettacolo Calabria, ha indetto a Cosenza, appunto sabato 30 maggio alle ore 17 in piazza XI Settembre, la protesta regionale dello Stato di agitazione permanente della cultura e dello spettacolo.
Stessa cosa verrà fatta a Torino, Milano, Genova, Roma, Napoli. Ovunque. Differiscono distanze e orari ma non intenti.
Nell’epoca degli hastag, quello scelto dai promotori dell’iniziativa è bello forte: #convocatecidalvivo.
Sì perché parlare per Dpcm, parlare con i Comitati tecnici non basta più.
I lavoratori della cultura e dello spettacolo ritengono la data del 15 giugno, prevista come momento di ripresa per determinati eventi, penalizzanti perché non tutti riusciranno ad andare a regime dopo due mesi di crisi profonda.
«Il mondo della cultura e dello spettacolo scende in piazza – dicono i lavoratori della cultura e dello spettacolo – In ogni regione, nello stesso momento. Siamo attori, tecnici, scenografi, costumisti, registi, facchini, danzatori, musicisti, organizzatori, promoter, attrezzisti, cantanti, performer».
Poi arrivano le loro richieste: «Chiediamo di essere finalmente ascoltati, perché solo le lavoratrici e i lavoratori conoscono a fondo le condizioni reali del loro lavoro. Chiediamo di essere convocati ai tavoli dove si decide del nostro futuro».
La protesta in tutta Italia sarà effettuata con tutti i crismi previsti dall’emergenza Coronavirus: mascherine e distanziamento sociale.
A voler sottolineare, ancora di più, che i lavoratori della cultura e dello spettacolo vogliono stare nelle regole ma di nuove regole ne chiedono davanti ad un evento epocale.
«La ripresa prevista per il 15 giugno non è realizzabile se non nei pochissimi casi di grandi realtà finanziate e garantite, che potranno permettersi il distanziamento e le pratiche di sanificazione previste dai protocolli – è scritto ancora nel manifesto preparato per la convocazione delle mobilitazioni del 30 maggio – mentre tutti gli altri, migliaia di lavoratrici e lavoratori, si troveranno senza alcuna possibilità di poter riprendere la loro attività, fino al reale superamento dell’emergenza sanitaria».
«Eppure – aggiungono – sono le tante piccole realtà a costituire quella rete capillare che attraversa il paese fino alle periferie più dimenticate, e ricostruisce il senso di comunità, educa alla bellezza, risveglia le coscienze».
“Protestare” oggi per rilanciare domani. Un domani che sia immediato però.
«L’emergenza ci ha unito e ci ha reso consapevoli della necessità di un ripensamento radicale del ruolo e del significato che la cultura nelle sue molteplici espressioni assume nel nostro Paese – dicono ancora – e di una riforma profonda delle logiche che guidano le politiche culturali sia a livello nazionale che a livello regionale».
Nella chiusura del manifesto tornano richieste che mirano alla rinascita di un settore che p patrimonio per il nostro Paese: «Chiediamo misure immediate che ci consentano la sussistenza fino alla ripresa piena del settore. Chiediamo una riforma dell’intero sistema culturale, che renda la cultura democratica e accessibile per tutti, che dia dignità e valorizzi le professionalità delle lavoratrici e dei lavoratori».