Scenari in terra partenopea, calabra e persino tedesca, si snodano lasciando spazio ai personaggi, mai noiosi, di “Comandare è meglio che fottere”, ultimo libro dello scrittore Claudio Metallo, che raccoglie otto diversi racconti, (quasi) del tutto inediti.
Napoletano d’adozione ma calabrese, di Campora San Giovanni, frazione di Amantea in provincia di Cosenza, per Claudio si tratta del quarto libro pubblicato con CasaSirio Editore, proprio come i suoi precedenti lavori Come una foglia al vento – Cocaine bugs, Vangelo di malavita e Tutti sono un numero.
Una scrittura scorrevole e piacevole in cui l’autore non lascia mai nulla al caso, come ha dichiarato anche Martino Ferrario, responsabile editing di CasaSirio, durante “Heavy Metallo”, il festival creato per festeggiare l’uscita di Comandare è meglio che fottere, svoltosi on line lo scorso fine settimana.
Nei dialoghi, dove possiamo trovare un linguaggio di vita quotidiana fatta di strada e malavita, si alternano anche parole e frasi in dialetto – campano e calabrese – che rendono ancora più realistici, seppur a volte particolari, i personaggi protagonisti delle storie tra ironia e denuncia sociale.
A differenza dei precedenti, tutti romanzi, l’ultima opera in ordine di tempo di Metallo è divisa in racconti, i quali attraversano macro temi come la criminalità organizzata, la politica e il calcio, che fanno da filo conduttore in quasi tutte le storie, ad accezione di Puru ca’ su fimmine, ricostruzione fantasiosa del primo sciopero di sole donne in Italia, avvenuto in Calabria nel 1947 e durato circa un anno.
Ma com’è nata l’idea di dare vita a Comandare è meglio che fottere, un libro di racconti, dopo tre romanzi?
«In realtà mi era capitato già precedentemente di mandare miei racconti a CasaSirio. In questo momento un po’ di stallo, la casa editrice mi ha proposto di pubblicare un libro fatto da diverse storie, e visto che la maggior parte ce le avevo già, mi è sembrata positiva come proposta e ho accettato molto volentieri. Anche se cimentarsi in un racconto è più difficile che scrivere un romanzo.
In un romanzo la storia si può dilatare, si possono presentare meglio i personaggi analizzando il loro carattere più accuratamente, e si ha più tempo per far interessare chi sta leggendo. Nel racconto invece il tempo a disposizione è molto poco, quindi è necessario trovare subito la strada giusta per poter scrivere la storia e riuscire, anche se con poche pagine, ad appassionare il lettore. Insomma: “Con un romanzo si può vincere ai punti, con un racconto solo per KO”» ci dice Metallo citando Julio Cortazar, grande scrittore e appassionato di boxe.
Quello appena uscito è il tuo quarto libro. Come senti che è cambiata la tua scrittura dagli esordi a oggi?
«Per una questione di esperienza e pratica oggi sicuramente riesco a strutturare meglio le mie storie. È automatico utilizzare determinati meccanismi che prima facevo più fatica a mettere in atto: sai fin dove ti puoi spingere, quando puoi andare oltre, quando usare un linguaggio piuttosto che un altro. Dopo un po’ di tempo questi accorgimenti diventano spontanei e scrivere risulta più semplice.
Soprattutto essere consapevoli che ci siano persone che apprezzano i miei libri, mi spinge a continuare su questa strada. Ad esempio, quando ho scritto Tutti sono un numero, ambientando la storia in una Napoli di fine anni ’70, sapevo fosse un azzardo, visto che era già presente un elevato numero di storie con lo stesso sfondo. Ma allo stesso tempo ero consapevole di avere un certo seguito di lettori che apprezzavano la mia voce, il mio modo di scrivere, e quindi l’esperienza mi ha aiutato a osare di più rispetto alle scene che vado a raccontare.»
Hai iniziato la tua carriera come documentarista: tra i tuoi lavori più noti troviamo Fratelli di TAV, ‘Un pagamu – la tassa sulla paura, o ancora L’avvelenata. Cronaca di una deriva. Tra il documentarista e lo scrittore, cosa preferisci fare?
«Al momento devo dire che mi diverte molto fare lo scrittore, per certi versi lo trovo anche rilassante.
Anche se quando lavoro a un documentario mi piace molto la parte iniziale: incontrare le persone, conoscerle, intervistarle, scoprire e riprendere ciò di cui si occupano. È quello che c’è dopo – montaggio e tutto il resto – che risulta un po’ noioso. Ma nonostante siano 20 anni che faccio lo stesso lavoro, ci sono delle cose piacevoli. Un esempio sono i lavori che realizzo per lo scrittore e regista Jacopo Fo, grazie ai quali ho conosciuto persone incredibili e scoperto iniziative interessanti, aiutando anche alla diffusione di determinate ricerche. Come quelle del CNR che riguardano questioni ambientali: dai filtri per le lavatrici che imprigionano le microplastiche, a vari tipi di sostenibilità ambientale. Documentari che rimangono in rete e possono essere uno strumento di promozione per gli stessi ricercatori».

Che cosa consigli ad uno scrittore o una scrittrice che decide di scrivere il suo primo libro?
«Il primo consiglio è quello di non pagare voi per vedere pubblicati i vostri lavori, a meno che non si decida di farlo in autoproduzione, ad esempio facendo partire una distribuzione dal basso, o con un crowdfunding. Se non avete questa intenzione, non finite in pasto ad agenzie che vi chiedono soldi per pubblicarvi, perché molto probabilmente avranno interesse solo per quello e non per il vostro libro.
Poi di leggere molto, tutto e il più possibile, poiché senza leggere non si può essere dei buoni scrittori. E dedicare tempo a scrivere. Si possono seguire ad esempio dei corsi, o leggere dei libri che parlano di scrittura, che danno delle nozioni basiche su come costruire una storia. Un libro che consiglio a riguardo è “Scriviamo un film. Manuale di Sceneggiatura” di Age (Agenore Incrocci) e Furio Scarpelli, dove gli autori illustrano tutti i segreti della scrittura per il cinema, dando numerosi spunti. Oppure un altro che trovo interessante è “The fuckin’ Point”, di Gianfranco Manfredi, che approfondisce argomenti come la presentazione dei protagonisti, la struttura e i tempi della sceneggiatura, con degli esercizi da svolgere.
(Potete trovare il libro a questo link:)
Un altro consiglio è lo stesso che amava dare Andrea Camilleri, che quando gli si chiedeva cosa fosse necessario fare per diventare un buon scrittore, rispondeva di “andare a bottega” dal proprio scrittore preferito. Se non fosse possibile incontrarlo di persona, prendete una sua frase, ricopiatela, cercando di capire il perché abbia usato quel termine e non un altro, il perché di quel verbo, della punteggiatura. Dopo provate a riscriverla, come volete voi, provando e riprovando fino a quando non sarete soddisfatti.
Anche per te è così, hai bisogno di provare e riprovare, o quando ti metti a scrivere vai dritto senza fermarti?
No, capita anche e me, ma in ogni caso non cerco mai di forzare la scrittura. Se in un momento del romanzo o del racconto che si sta scrivendo, non si riesce a scrivere qualcosa, a mettere giù un concetto, si può passare avanti per ritornarci in un secondo momento, magari quando si ha la mente più libera. Anche riguardo a questo ognuno acquisirà una propria tecnica.
Anche se, come per tutte le cose, non è solo la tecnica che permette di scrivere un libro, poiché ogni autore utilizza la propria. Ci sono scrittori ad esempio che iniziano scrivendo la biografia di tutti i personaggi che si andranno ad incontrare, per delinearne il carattere e farli conoscere meglio. Io di solito divido il romanzo in tre “atti”: nel primo mi soffermo sui personaggi e su un “problema”; nel secondo il “problema” prende piede e si delinea meglio la storia; nel terzo atto si sbroglia la situazione. In più raccolgo un sacco di materiale: film, articoli, documenti, testimonianze, tutto ciò che mi può servire, e le cose che mi sembrano interessanti le inserisco.
Ho comunque chiaro il finale già all’inizio, anche se strada facendo la fine può modificarsi, però ho un’idea di come si svolge tutta la storia, mi preparo inizialmente una scaletta, inserisco appunti e comincio a lavorare.
Dopo l’uscita di Comandare è meglio che fottere, hai in programma la pubblicazione di un altro libro?
«Si, ho già pronto nel cassetto un romanzo nuovo. È la storia di un blues man balordo, convinto che dove ci sia lo sfruttamento dei braccianti possa nascere una nuova musica, come fu per il blues nelle piantagioni di cotone. Decide quindi di andare in un posto simile, ma trova una realtà completamente diversa da come se l’era immaginata. Uscirà probabilmente alla fine di questo anno o all’inizo del 2022.»
Nell’introduzione del tuo libro, dici che tra i racconti pubblicati c’è la storia più bella che tu abbia mai scritto fin’ora. Ma ora lo possiamo sapere qual è tra queste?
«Magari ve lo racconto alla prossima intervista.»